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FIDUCIA IN SE STESSI:         

Ridere spesso e di gusto; ottenere il rispetto di persone intelligenti e l’affetto dei bambini; prestare orecchio alle lodi di critici sinceri e sopportare i tradimenti di falsi amici; apprezzare la bellezza; scorgere negli altri gli aspetti positivi; lasciare il mondo un pochino migliore, si tratti di un bambino guarito, di un’aiuola o del riscatto da una condizione sociale; sapere che anche una sola esistenza è stata più lieta per il fatto che tu sia esistito. Ecco, questo è avere successo e fiducia in se stessi.

 

Ralph Waldo Emerson

 

 PREFAZIONE

L’umanità che emerge nella storia, è proprio così come Claudio la racconta, compreso il soprannome conquistato da suo padre Biagio.

A quei tempi, Biagio insieme a tre colleghi, iniziavano il turno di lavoro sempre nello stesso posto, fissandosi l’appuntamento all'inizio turno, per un caffè in tutta calma in attesa di affrontare il traffico quotidiano di questa nostra Roma.

Il soprannome di Luciano e Vincenzo, rispettivamente sono: “Quanto hai fatto” e il “Carbonaro”. E sono stati presi a prestito da chi, nella categoria, è davvero chiamato in questo strano modo. Maurizio invece, è l’unico che a quei tempi ne possedeva uno, un soprannome tutto suo e senza doverlo spartire con nessuno.

Maurizio, per la capigliatura originale che portava, conquistò nel suo primo giorno di lavoro, un soprannome davvero stravagante.

Con il passare degli anni poi, il suo nome si è impreziosito, proprio come se, il suo corpo invecchiando, si fosse trasformato in un buon vino. Oggi, nel mondo dei tassisti, è diventato un vero e proprio patrimonio, quasi lo stesso valore dell’omonimo ritratto, e sulle spalle ricurve ormai di Maurizio, duole il peso della responsabilità di valere esageratamente troppo, ed è costretto a convivere con la fottuta paura di essere rapito.

Avere il nome dell’omonimo dipinto, tanto protetto e custodito dal museo parigino, è una bella responsabilità ve lo assicuro, e anche se alla Monna Lisa non le somiglia affatto, per lui è un vanto chiamarsi La Gioconda, facendo rigirare il grande Leonardo nella tomba.

 La storia si srotola fra vicissitudini lavorative e familiari, ma una volta ereditato la corona, Claudio, il figlio del Re dei monti tiburtini, quindi, il Principino, finisce per restare solo con se stesso, senza un popolo da governare né terre da conquistare.

 

 

SINOSSI

Claudio, figlio unico del Re di monti tiburtini, a quei tempi aveva sì e no cinque anni, e il suo gioco preferito era quello di nascondersi per ascoltare i grandi. E per sentirli senza essere notato né farsi sfuggire niente di quello che dicevano, faceva finta di giocare con un amico immaginario scimmiottando proprio il modo di fare e di parlare degli adulti. Giunto all'età di otto anni, fece un tema davvero sconvolgente: raccontò una storia d’altri tempi, una fiaba davvero strabiliante. Nel suo immaginario di bambino della terza elementare, rappresentò il suo babbo come il grande Re dei monti tiburtini.

Luciano, detto “Quanto hai fatto”, Vincenzo, detto il “Carbonaro” e Maurizio, con l’attraente e prezioso nome della “Gioconda”, andavano tutti e tre orgogliosi dei loro soprannomi. Solo Biagio non né aveva ancora, ma solo perché era da poco che faceva il tassinaro. I quattro, pur essendo solo dei colleghi, e dopo aver vinto la prima e unica battaglia della loro carriera, hanno stretto un’insolita e sincera amicizia per la vita.

Quando Biagio fu informato dalla sua Nina di essere stati convocati entrambi a scuola, è andato su tutte le furie. Temeva che suo figlio avesse combinato una delle sue e, preoccupato, con il pensiero tornò al suo passato, andò a ritroso fino alla prima elementare, con la Speranza che suo figlio, non stesse ripetendo le sue stesse scelleratezze. E per capire fin dove si era ormai spinto, ha iniziato a fargli, in principio, delle semplici domande, ma quando si è reso conto dove era capace di arrivare la testardaggine di suo figlio, ha deciso di fargli il terzo grado senza sconti né accordi preliminari di nessun tipo.

Era proprio questo che Biagio temeva per suo figlio. Non sopportava che Claudio si facesse beccare con le mani nella marmellata, preferiva che fosse furbo abbastanza da non farsi scoprire nel fare quel che combinava a scuola.

Allora, per dargli la giusta educazione, le oneste informazioni, non faceva altro che ripetere: «Ognuno nella vita può fare quel che vuole, purché sia disposto a pagarne il costo quando si presenterà l’oste con il conto da pagare».

C’è poi la storia della chiave, nessuno l’ha mai vista, la tiene ben nascosta dentro un portagioie con tanto di combinazione come fosse una piccola e resistente cassaforte in metallo temperato. È quel che almeno dice in giro. Invece, Peter l’ha trovata dentro l’unico calzino fucsia nascosto infondo al cassetto e in mezzo a tanti altri nuovi, vecchi e alcuni addirittura puzzolenti. Nessuno mai penserebbe di cercarla in mezzo a quello schifo. E questo rafforzava in Peter la convinzione che dietro quella chiave, si può risalire a un gran segreto.

Un giorno lasciato tutto solo in casa, Peter, gli è venuta in mente una voglia matta di cercarla. Voleva a tutti i costi scoprire cosa ci fosse di tanto misterioso in quei libri cui il padre teneva molto. Sarà stata forse una coincidenza, o forse una premonizione, o magari solo un’intuizione, ma è proprio in quel cassetto di calzini puzzolenti che si è precipitato, e l’ha fatto ancora prima di guardare in qualsiasi altro posto, ed è proprio lì che ha trovato quella maledetta o benedetta chiave, piccola ma di forma strana e artisticamente ricamata.

 

Nonostante la repulsione per il cattivo odore, Peter ha trattenuto il fiato e ha immerso ugualmente le mani infondo al cassetto alla ricerca anche di un solo indizio, tanto se le sarebbe lavate più e più volte con il sapone della mamma che è tanto profumato.